Ero incavolato nero

Certo la mia vita è cambiata, quello che mi è successo non mi permetterà mai di dimenticare ciò che mi è capitato, ma posso sicuramente dire che ora ho una speranza di avere un futuro.

Mi chiamo Dino. La brutta notizia l’ho avuta nel 2010, a 42 anni, nel pieno di una vita normale, senza grossi pensieri, avendo come unici problemi quelli di vivere in una tranquilla famiglia e di andare a lavorare ogni giorno, pensando solo ad un futuro sereno.

Nel 2009 mi accorgo di avere uno strano e doloroso rigonfiamento all’altezza del coccige, proprio sopra il sedere. Per i medici che ho consultato la diagnosi era di “Cisti sacrococcigea”. A gennaio 2010 sono stato operato. Un intervento semplice, in day-hospital. A febbraio, durante uno dei previsti controlli, il chirurgo mi riferisce l’esito dell’esame istologico: “Sospetto cordoma al sacro”. Cosa? Cos’è? Neanche il chirurgo lo conosceva bene. “E’ inoltre presente sul margine del tessuto tolto”. Quindi: non è stato tolto tutto.

Da quel momento è iniziato il mio calvario personale, e insieme a me quello della mia famiglia. Anzitutto cerchiamo di capire cos’è. Internet è la soluzione (o quasi): “I cordomi sono tumori maligni rari, che si sviluppano a partire dai residui embrionali della notocorda dello scheletro assiale”. Il mondo mi crolla addosso, nel vero senso della parola. Fino a ieri immaginavo un futuro con i miei figli, con mia moglie. Ora non sembra che io abbia un futuro. La realtà è dura. Devo muovermi, e in fretta. Contatto alcuni medici, ma non ottengo una risposta che mi convinca. Sembra che la soluzione sia la radioterapia, ma neanche i medici sembrano convinti. Finché mi viene in mente un’informazione avuta tempo prima: per i tumori uno dei migliori istituti è l’Ifo. Bene, cerchiamolo su Internet. E poi ortopedia. Trovo il nome del Prof. Roberto Biagini. Telefono per prendere un appuntamento e me lo danno subito.

Il giorno dell’appuntamento, vado e finalmente riesco a parlare con il professore. Gli dico la mia diagnosi. Mi chiede quanti anni ho. Poi mi guarda e mi dice, serio: “Si sieda, dobbiamo parlare”. Lì ho capito che la cosa era veramente seria, mi sentivo il sangue gelare. Quando finalmente mi ha fatto entrare nel suo studio, abbiamo parlato tanto, mi ha visitato, ha descritto fin troppo bene quello che mi aspettava. Radioterapia? Chemioterapia? Tutto inutile. Bisogna intervenire chirurgicamente, senza perdere altro tempo, e togliere tutta la parte di osso intaccato dal tumore. Ma prima bisogna fare una serie di esami, a volte pesanti, ma necessari per capire il livello di avanzamento. Prima una Pet, poi una risonanza magnetica e una Tac. E poi altre visite dal prof. Biagini. Fino a quando è pronto per propormi la sua soluzione. Chirurgica, ovviamente, togliendo anche l’osso sacro. Ma da quell’osso escono alcuni nervi importanti, che controllano la parte inferiore del l’addome e anche i movimenti delle gambe. Piango amaramente. Perché proprio a me?

La decisione è dura: campare con grossi deficit, nella speranza di vivere molti altri anni senza il tumore, o fare finta di niente e godermi la vita finché dura? La mia famiglia mi ha dato la risposta: devo vivere, voglio vedere i miei figli crescere, andare all’università, sposarsi e avere dei figli. E degli altri problemi, dei deficit cui potevo andare incontro, chissenefrega! Sono disposto a correre questi rischi.

Ad agosto mi ricovero all’Ifo. E’ la prima volta che mi ricovero in ospedale, ho paura, ma tutto il personale che incontro scherza con me e mi mette a mio agio. Non i medici, che continuano a darmi notizie poco rassicuranti sui possibili effetti collaterali dell’intervento. E mi fanno firmare tante carte, e ogni firma diventa più difficile da mettere. Ma ormai ho deciso. E firmo. Altri esami, prelievi, aghi.

Il dott. Zoccali, che fa parte dell’equipe del prof. Biagini, mi dice che sarà lui ad operarmi. Mi dice che non sa ancora quanto osso sacro togliere, se dovrà tagliare da S3 o da S4. In un impeto di coraggio scherzo con lui e cerco di contrattare sul pezzo, da quale vertebra tagliare. Poi arriva il giorno dell’intervento. Mia moglie è lì, sempre presente, è lei che mi dà la forza, insieme al pensiero costante dei miei figli, di poterli riabbracciare presto e riprenderli in braccio.

L’intervento dura 7 ore. Quando mi sveglio penso “Bene, sono ancora vivo” . E le gambe? Sembrano ancora funzionare. Nel frattempo, ancora stordito, mi portano in terapia intensiva. E finalmente vedo il viso sorridente del prof. Biagini: mi dice che tutto è andato bene, ma che bisogna aspettare l’esito dell’esame istologico. Durante la notte, altri medici dell’equipe mi vengono a trovare, mi controllano. Io mi sento coccolato, e finalmente li vedo sereni.

Passano i giorni. Uno alla volta i tubi che mi avevano messo in corpo se ne vanno. I dolori, fortunatamente, sono pochi, non ho infezioni, le gambe sembrano funzionare bene, ma devo ancora aspettare per alzarmi. Ogni tanto mi prende la noia, altre volte mi viene il desiderio di fuggire via, ma gli infermieri sono eccezionali, riescono a tranquillizzarmi, a farmi tornare la pazienza. Con loro si crea una bellissima intesa.

E, dopo dieci giorni, finalmente, in compagnia del fisioterapista, inizio a camminare. Non vedo niente di diverso, a parte un certo fastidio al fondoschiena. Anche gli infermieri sembrano sorpresi e contenti di vedermi camminare bene. E sono contento anche io. Il mio morale cresce velocemente, incomincio a intravvedere un discreto futuro.

Dopo due settimane dall’intervento posso tornare a casa, ma prima il prof. Biagini mi vuole parlare e, con un gran sorriso sul viso, mi parla di quello che sarà. Fra l’altro, parliamo anche dell’Associazione Rukije, che avevo già avuto modo di conoscere, perché durante il ricovero si erano presentate da me due persone, Monica e Renato, anche loro operati di tumore, che con la loro testimonianza mi ave vano insegnato a non avere paura. Così, alla fine sono diventato anch’io volontario dell’associazione: perché non tentare di aiutare io stesso altre persone? Se non fisicamente, almeno nella speranza…

Ora, dopo un anno dall’intervento, sono tornato ad avere una vita relativamente normale. Seguo il previsto percorso di follow-up, continuando a fare tanti esami per verificare che il male sia stato estirpato definitivamente. Dall’esame istologico sembra che tutta la massa sia stata tolta completamente e correttamente. Certo, ora convivo con qualche problema, soffro di ritenzione urinaria e di stitichezza (per urinare devo fare forza con gli addominali), prendo dei lassativi, a volte soffro di incontinenza; i miei glutei, poi, hanno perso la sensibilità, quando corro i muscoli mi dolgono, e sono abbastanza brutti da guardare. Ma nonostante ciò mi ritengo fortunato in quanto le mie gambe funzionano bene, come prima. I medici dicono che il mio è un caso raro, che la mia riuscita è speciale, ma io non credo che sarebbe stato possibile senza la loro bravura e professionalità, ma anche sicuramente grazie all’intervento del mio Dio, che ha guidato la mano dei chirurghi.

Ad oggi non so se sono guarito, se posso affermare di avere sconfitto il cancro, anche se personalmente credo che nessuno possa mai realmente dirlo. Certo la mia vita è cambiata, dovrò fare sempre controlli, esami, e tutto ciò non mi permetterà MAI di dimenticare ciò che mi è capitato, di abbassare la guardia, ma posso sicuramente dire che ora ho una speranza di avere un futuro, di poter sperare di vivere ancora tanti anni, di poter fare tutte quelle cose che credevo avrei perso.

Dino