Ho una gamba bellissima

Ora io e la mia protesi siamo diventati ottimi amici...

Il mio racconto comincia con la partita di calcetto del lunedì: appuntamento fisso al campo, sempre lo stesso da anni, con colleghi ed amici. Manca poco alla fine della partita e, dopo un banale movimento per calciare il pallone, sento una fitta fortissima all’inguine. Mi sdraio a terra e penso a uno stiramento, al massimo a uno strappo muscolare. Pochi minuti e mi rialzo. Ho ancora un po’ di fastidio e decido di mettermi in porta per evitare di peggiorare la situazione. Quella sera, a casa, una volta sdraiato nel letto, passo la prima di tante notti insonni. Neanche ci penso a consultare un ortopedico. Un paio di settimane di riposo e si ritorna in campo. Questa volta però, la fitta all’inguine la sento quasi subito, già nel blando riscaldamento che di solito faccio cinque minuti prima di iniziare la partita. Mi basta velocizzare un po’ la corsa e... tac... ecco di nuovo la fitta. Il primo pensiero, condiviso da tutti i presenti con un sorriso è: "Non c’abbiamo più l’età. A vent’anni ti facevi male e dopo un giorno eri già guarito. Ora i tempi di recupero sono più lunghi!" E con questa speranza, anche questa volta, passo la mia bella oretta giocando in porta.

Il dolore, però, nei giorni successivi non passa e a poco servono gli anti-infiammatori che ogni tanto prendo. Cerco di non abusarne: non ho mai amato chi usa i farmaci con leggerezza, ma questa volta non ce la faccio proprio a non prenderli.

Vista la situazione, decido di rivolgermi ad un ortopedico che dopo aver ascoltato ilmio racconto e dopo avermi visitato, mi diagnostica una pubalgia. Per un paio di mesi vado da un mio amico fisioterapista una volta a settimana, faccio laser e massaggi ma il dolore non ha proprio intenzione di andarsene. Comincio a non riuscire più neanche a stare seduto in macchina e ogni dieci minuti, mi trovo costretto a scendere, farmi una passeggiata e risalire: sto bene solo in piedi.

Le notti insonni cominciano ad essere tante e passo un’estate tra giorni in cui riesco a sopportare il dolore e giorni in cui proprio non ce la faccio. La notte dormo pochissimo e la passo camminando avanti e indietro per ore, alzandomi ogni due ore per andare in bagno, cambiare posizione e fare anche due o tre colazioni per notte: così, tanto per passare il tempo.

Finalmente, dopo quasi cinque mesi, l’ortopedico decide di farmi fare una risonanza magnetica. Ancora ho in mente il momento in cui il medico dal microfono mi dice: "Hai fatto pipì prima di venire? Hai la vescica pienissima…. Ah no aspetta… non è la vescica…" e la comunicazione si interrompe. Sdraiato per un’altra mezzoretta, ovviamente non do peso a quelle parole, anche perché non ce la faccio più a stare sdraiato, tremo e sudo, ma stringo i denti. Il radiologo mi mostra le immagini: ho una palla di 11 cm di diametro che parte dalla testa del femore e va a comprimere la mia vescica, ridotta ad uno spicchio di luna. Ecco spiegata la mia assidua frequentazione notturna del bagno, ecco spiegato il dolore.

Prima di capire, però, che cosa sia quella massa passano un paio di mesi. Consulto decine tra radiologi, chirurghi, ortopedici e chi più ne ha più ne metta. La maggior parte di loro mi parla di microfrattura, borsite, strappo muscolare. Basta bucare quella massa o rimuoverla chirurgicamente e la situazione è risolta. Per fortuna, tra i tanti medici consultati, uno di questi è il prof. Biagini, purtroppo solo l’ultimo! Non appena vede le immagini mi prospetta la possibilità che si tratti di un condrosarcoma, ma per averne la certezza bisogna eseguire una PET ed una biopsia ossea.

Il giorno in cui mi arrivano i risultati della biopsia: mi immagino la Sfiga come una vecchia fattucchiera che si rimbocca le maniche, si spreme le meningi e si concentra al massimo su di me, tanto che il mio primo pensiero è stato: in un’altra vita devo aver fatto qualcosa di male. In rapida sequenza accade che: io e mia moglie buchiamo una ruota, torniamo a casa e mio figlio inciampando sbatte la testa su uno spigolo, si alza ed è una maschera di sangue, la caldaia si rompe. Ah dimenticavo: la biopsia dice che ho un condrosarcoma di grado 3!

Non so descrivere la miriade di pensieri e sensazioni che per giorni mi sono passati per la testa. La cosa che ricordo è che non riuscivo a fermare il cervello, era un fiume in piena. Ovviamente nei giorni successivi torno dal Prof. Biagini e molto onestamente mi prospetta l’amputazione della gamba destra come soluzione più sicura, vista anche la mia giovane età… giovanissima direi: ho 33 anni e ne dimostro 20, modestamente! Mi dice anche, molto onestamente, che essendo la mia una patologia particolare, ci sono soltanto altri due centri in Italia in grado di trattarla: l’ospedale Careggi a Firenze e il Rizzoli a Bologna. Ricordo ancora come ci siamo salutati: "Mi raccomando: Roma, Firenze o Bologna: non farti toccare da nessun altro!".

Alla fine decido di operarmi a Firenze, anche perché mi prospettano la possibilità di un grosso intervento che però potrebbe evitare l’amputazione e salvarmi la gamba a parità di rischio oncologico. Ricordo benissimo la sera prima dell’intervento. Ero solo in stanza e come uno scemo ogni tanto, a fatica mi facevo una corsetta di pochi metri pensando: "Dai, me ne faccio ancora una, dato che chissà per quanto tempo non potrò più correre dopo l’operazione, anzi chissà se potrò mai più correre? Io che sono sempre stato una scheggia. Il più veloce della classe, ma solo alle elementari, lo ammetto!"

L’intervento dura circa 13 ore, ma ne esco vivo e con due gambe. Passo due mesi completamente immobile a letto, con lo "stupor del nervo sciatico" (un deficit transitorio nell’elevazione del piede) e tanta tanta voglia di farmi una doccia. Pian piano comincio a rialzarmi, prima in carrozzina, poi finalmente in piedi.

Dopo circa 5 mesi uno strano gonfiore sulla coscia fa scattare di nuovo il campanello d’allarme e di nuovo TAC, RMN, biopsie e di nuovo quella maledetta parola: condrosarcoma. A questo punto non resta che fare l’amputazione. Affronto la cosa con molta serenità. Non vedo l’ora di liberarmi di questo ospite indesiderato ed il mio unico pensiero è stare bene e lasciare quel maledetto letto.

Subito dopo l’operazione, appena i medici mi danno l’ok, mi metto in piedi e dopo due settimane sono di nuovo, finalmente a casa. Peso 41 chili e la gamba "buona" ha perso molto tono muscolare, ma non mi do per vinto e comincio a muovermi e camminare in ogni modo e con ogni mezzo possibile. La sedia a rotelle non mi piace e la prima volta che la prendo per uscire, dopo pochi metri, scendendo da un marciapiede si ribalta e il risultato è un bel taglio in testa e tanta rabbia che mi fa pensare: "Qui devo sbrigarmi: carrozzina io ti lascio appena posso!" E così è stato. Inizialmente, non avendo molta forza e non riuscendo a camminare con le stampelle, cammino aggrappandomi ai mobili e ad ogni possibile spigolo o sporgenza delle pareti, saltellando o facendo scivolare il piede piano piano, alternando prima il tacco e poi la punta.

La voglia di tornare alla normalità è tanta e prima divento un fulmine con le stampelle, poi metto la protesi presso il Centro Protesi di Vigorso di Budrio. Il primo impatto con la mia nuova gamba non è dei migliori e guardandola provo uno strano senso di rifiuto: mi sembra troppo grande e troppo ingombrante. Pian piano però imparo a conviverci: ad"indossarla", a piegarla, a calzare la scarpa e ovviamente anche a camminarci. I primi passi li faccio in palestra all’interno delle parallele e mi godo il fatto di avere finalmente le mani libere dalle stampelle. Poi un giorno Ornella, la fisioterapista che mi segue, mi dice: "Domani andiamo a farci una passeggiata per i corridoi, basta palestra."

So che potrà sembrare stupido ed esagerato, ma in quel momento mi sono sentito felice come un bambino davanti al gelato. Uscire dalla palestra per me ha significato lasciarmi alle spalle una bella fetta di passato, fatto di ospedali, letti e barelle e tornare nel mondo reale e in tutto ciò che mi aspettava. Passo la notte pensando a tutti i movimenti che mi hanno insegnato i fisioterapisti e me li ripetevo in testa decine di volte perché l’indomani non potevo sbagliare.

Ovviamente il giorno dopo tutto va alla grande. Passo dopo passo e con un sorriso da ebete mi aggiro per ore nei corridoi del centro protesi. Nei giorni successivi divento sempre più bravo. Trovo anche il tempo di cimentarmi con Lucia, una ragazza arrivata il mio stesso giorno, in una goffa ma alquanto divertente gara di velocità. Ora io e la mia protesi siamo ottimi amici e dopo circa un mese lascio il centro protesi e torno a casa. Per circa tre mesi mi sono aiutato con due stampelle per camminare, poi con una soltanto e, dopo meno di un anno, le ho abbandonate del tutto.

Nonostante questa sia stata un’esperienza che ha sconvolto la mia vita, dico a tutti che è stata comunque una bella esperienza. Credo fermamente che il motore della nostra vita siano le emozioni, belle o brutte che siano. E’ vero, il dolore e alcuni momenti sono stati davvero difficili, ma sono decisamente di più le cose positive che in questo strano cammino ho trovato. L’amore smisurato per mia moglie e per mio figlio, l’affetto della mia famiglia e dei miei amici, il supporto silenzioso ma presente dei miei colleghi di lavoro, un nipotino che porta il mio nome, gli sguardi sempre sorridenti degli infermieri e dei fisioterapisti e tantissimi altri momenti e volti che non scorderò mai. Tutto ciò ha alimentato in me la forza per poter andare avanti. Non dimenticherò mai mia madre che mi sussurra in un orecchio: "Ce l’ho fatta io, ce la farai anche tu!" O mio fratello che la sera prima dell’intervento mi dice: "Prima di addormentarti pensa a qualcosa di bello". E così ho fatto; ho chiuso gli occhi e avevo davanti a me l’immagine nitida di mio figlio e di mia moglie che mi sorridevano: non avrei mai potuto fallire. Da quel primo giorno in cui mi sono rimesso in piedi ad oggi, ho visto in me progressi, anche piccoli, ma costanti. Ho ripreso a fare tutto quello che ho sempre fatto, certo con fatica, ma anche con molta più soddisfazione. Sono tornato al mio lavoro, ho ripreso ad allenare la mia squadra di baseball con cui proprio l’anno del mio ritorno ho vinto la coppa Italia (sono anche stato selezionato per allenare l’All Star Game ovvero una squadra formata dai migliori giocatori dell’anno) e soprattutto mi godo mio figlio, lo porto ogni mattina all’asilo, ci gioco e mi prendo cura di lui…. Insomma faccio il papà!

E poi, ve lo assicuro, da quando ho una gamba sola, mi ritrovo spesso a guardarmela come un fesso, ogni tanto me la accarezzo anche, non ne posso fare a meno. Non è colpa mia se è sempre più muscolosa e tonica: eh già! Ho proprio una gamba bellissima!

 

Marco